Fino a pochi anni fa reperire informazioni di prima mano dal Giappone non era affatto facile.

 In italiano i libri tradotti erano pochi, a parte i classici di Mishima, Kawabata e Tanizaki (sdoganato prevalentemente come autore erotico dalla bruttissima trasposizione cinematografica di Tinto Brass di La Chiave), il fenomeno Feltrinelli di Banana Yoshimoto e l’emergente (all’epoca) Murakami Haruki.

 Ovviamente c’erano gli anime per i più giovani e i videogiochi import, ma per chi cercasse qualcosa di più di templi, riti, spiritualità (i libri di Daisaku Ikeda sugli scaffali di qualsiasi pseudo-buddhista Soka Gakkai italico dopo la conversione di Roberto Baggio e citazioni buttate qua e là alla stregua di un Osho qualsiasi, ora caduto definitivamente in disgrazia), qualcosa su come fosse vivere in Giappone, la quotidianità, la politica, la società, l’economia (a parte il metodo Toyota), il vuoto. Indimenticabile anche Takeshi’s Castle, ribattezzato da noi “Mai Dire Banzai” (con un Kitano Takeshi ancora sconosciuto qui in Italia), con una versione ridicola/ridicolizzata del sol levante, per qualche anno in voga coi suoi game shows al tempo estremi (come anche nell’episodio dei Simpsons “Da Tokyo con orrore”), oggi assolutamente innocui e fanciulleschi. Da questo vuoto emerge quindi la visione mitologica di un Giappone ridotto a mero prodotto culturale, condannato(si) a rispecchiare gli anime, i gadget e i videogiochi che sforna incessantemente ad un pubblico ora globale, un po come l’Italia vista attraverso un film americano, tutta tradizioni, piazza, cibo, motorini con giovani balilla che salutano la bella straniera con fare spavaldo e maschile. Una parodia di sé stesso insomma.

 C’erano però anche i libri di Fosco Maraini, fotografo e tanto altro, orientalista soprattutto, che tanto ha scritto del Giappone. Tiziano Terzani e i suoi diari, riflessioni sugli anni in Asia, dove il Giappone non era quello dei manga, ma della guerra, della ricostruzione, di fatica, boom economico e città asfissianti. Poco altro però. Qualche studio sul cool Japan in ambito accademico come la raccolta di saggi diAlessandro Gomarasca “La Bambola e il robottone. Culture pop nel Giappone contemporaneo” (Einaudi, 2001), i film di Kurosawa Akira e Fuori Orario di Ghezzi che da solo ha portato il cinema altro nelle televisioni e cinema italiani (seppur a notte fonda). Il filtro rimaneva prevalentemente però quello dello stereotipo che si è poi fatto realtà, e della vita quotidiana in Giappone non si sapeva nulla.

 È il 2005 e arriva Youtube. Chiunque può produrre e caricare video da qualsiasi parte del mondo (Cina e qualche altro regime a parte). Già si parla di citizen journalism, è l’inizio dell’era dei blog (di cui abbiamo già parlato con l’articolo su Tokyo Damage Report), ma Youtube offre quello che le parole soltanto non possono raggiungere: vedere, come in tv, e rappresentare, come un regista.

 Dal 2005 ad oggi sono passati 15 anni, la tv è stata definitivamente defenestrata, e l’illusione che chiunque potesse diventare giornalista con i blog, e attraverso le immagini, regista, tramontata. Narrare non è cosa da tutti, in pochi hanno la capacità, il carisma, la conoscenza e l’autorità per farlo, e i pochi che ci riescono e vengono riconosciuti per quello che hanno realmente da dire, sono appunto pochi.

 Immagini da ogni angolo del mondo inondano la piattaforma. Non solo video musicali, meme, video virali, ma anche racconti di viaggio, di vita quotidiana, monologhi, racconti, qualsiasi cosa, basta che sia visibile. Il mondo si fa vicinissimo (poco dopo Google Maps ed Earth permetteranno di camminare virtualmente fra le strade di qualsiasi città della terra), e così pure il Giappone. Racconti di viaggio, corsi di cucina, recensioni di manga ed anime, album completi di bands prima assolutamente inaccessibili, tutto diventa immediatamente disponibile. Si va dal walkthrough dei videogiochi ai walkabouts delle città, la definizione in 4K, i suoni binaurali, e l’esperienza di visitare le così agognate città o templi e montagne giapponesi (o di qualsiasi parte del mondo), immersiva.

Ci sono canali Youtube dedicati al Giappone che sono a volte straordinari, come appunto il camminatore (o camminatrice) silenzioso Ramblac, con il suo Giappone “puro” in prima persona, quasi un field recording visivo, attraverso la lente di una telecamera a massima definizione e l’assenza assoluta di parole.

I documentari sottotitolati di Vice Japan, su sottoculture spesso scomode, che vanno dagli ormai rari motociclisti fuorilegge bosozoku, tatuatori, yakuza, prostitute dominatrix e tanto altro, e quelli “di regime” della tv di stato NHK World.

 Nobita from Japan, Youtuber giapponese dal buon inglese (cosa rara, come è raro che un giapponese si rivolga ad un pubblico occidentale) che tocca argomenti a volte di grande interesse sulla contemporaneità giapponese (dating, sessualità, lavoro, tradizione vs modernità, gaijin,…), con un occhio particolare alle views della comunità nipponica online e che ne rispecchia purtroppo alcune tristi caratteristiche quali uno spiccato maschilismo (a volte borderline incel) e conservatorismo ben visibile nei commenti dei suoi followers, prevalentemente maschi occidentali amanti del Giappone (wapanese se non weeaboos). Sull’argomento fascinazione della destra (ora alt-right nei tempi di internet meme e fake news) e Giappone, ci sarebbe tanto da dire, fra concezioni e retoriche distorte di onore da samurai e katane, tatuaggi di un inconsapevole Capitan Harlock fra campi Hobbit e spalti di calcio, Mishima Yukio  e il suo esercito personale, terroristi neri scappati in Giappone dove hanno ottenuto la cittadinanza (Delfio Zorzi), lo spirito dell’asse Roma-Berlino-Tokyo ma sopito, un console italiano in Giappone membro di un gruppo nazi-rock ora scrittore mediocre, una concezione della donna che fra incelotaku estremi-reazionari spesso coincide, un generale orientalismo da nazismo magico, ma non in questa sede.

Il canale di Michael Rogge, un anziano documentarista che ha deciso di caricare decine di ore di filmati girati in Asia dagli anni ’50 agli ’80, catturando strade che non ci sono più, volti e architetture del passato, scene di muta e semplice quotidianità altrimenti inghiottiti dai flutti del tempo.

 Poi il curioso video di Ronald McFarland sulla sua vita in Giappone negli anni ’80, un home video ora caro alla comunità vaporwave che idolatra il Giappone degli anni ’80 e il suo city pop funky e spensierato.

 Altri walkabouts nel passato sono quelli di Lyle Hiroshi Saxon, una immersione in mondi ormai scomparsi o drammaticamente stravolti, eppure a volte ancora molto simili (ad esempio questa Takeshita-dori di Harajuku degli anni ’90 è piena quanto ora, sono cambiate solo i modi di vestire e i nomi dei negozi, ora tristemente quasi esclusivamente grandi brands).

 Il panorama italiano di Youtubers che parlano di Giappone è però praticamente assente. Di italiani in Giappone ce ne sono pochi (per adesso, e per fortuna dato che l’italiano trapiantato in sol levante più famoso è il piacione Girolamo Panzetta…), e quei pochi si affidano ancora spesso a Facebook, di cui l’Italia fa per qualche ragione un uso smodato.

 Qualche rarissima eccezione c’è però, e fra questi pochi Youtuber che hanno deciso di narrare il Giappone c’è Elvio con il suo canale Bisso Multimedia in Giappone.

Lo conosciamo bene, ed è un piacere poter parlare qui del suo canale, ma Bisso non è uno Youtuber come tanti.

Innanzitutto i suoi video sono prevalentemente in inglese, a volte anche giapponese, con sottotitoli in italiano, raggiungendo un pubblico molto più vasto di quello solamente italiano.

Poi Bisso è troppo preso da troppe cose, e nel suo canale non troverete sushi ( un po di cibo a dir il vero c’è però ) manga e videogiochi, ma conferenze sulla storia del punk e metal giapponesi anni ’80 ( a Ikigai Room il 9 gennaio 2019 e di cui c’è tutta la scaletta qui! );

– cover dei furiosi punk The Stalin in 8 bit;

– i suoi progetti musicali sperimentali noise Les Laplaciens (già nellacompilation Spettro Records, con un monumentale live a Osaka da 20 minuti a chiusura del secondo volume);

e la chiptune metanfetaminica con Gameboy con il moniker <D I R>RICHTER (dal vivo sempre a Ikigai subito dopo la sua “masterclass”), fino alle cover di oscure band giapponesi coi 白いノイズ Shiroi Noizu.

Poi fanzines ciclostilate sulla scena live 8 bit italiana e il fan-club dedicato ai leggendari X-Japan; raccolte fotografiche e centinaia di Polaroid; re-edits di Guerre Stellari; collezioni e recensioni di birre artigianali dai konbini; una etichetta discografica indipendente, la Bisso Multimedia, con alcune delle uscite più curate e strambe mai viste. Insomma, una valanga di cose.

Elvio abita da qualche anno ormai stabilmente in Giappone, prima a Osaka e da poco fuori città. Nei suoi video gira la città alla febbrile ricerca di negozi dell’usato (come i recycle shops Hard-Off), mercatini mensili all’interno di templi, di cui segue l’erratica programmazione su indecifrabili bollettini mensili del quartiere fra valanghe di kanji. Nelle sue avventure da scavanger è alla ricerca di cimeli di idols dimenticate degli anni ’80, retro-tecnologia gettata ai cigli della strada con macchine fotografiche di recupero, vinili dimenticati dal tempo. Ci porta in caldi e sudati matsuri di quartiere, oppure a bere fino alle prime luci dell’alba fra un izakaya e l’altro finendo poi in una festa reggae, al karaoke con canzoni visual kei, o al suo amato locale Pika Space.

 Lo vediamo in bici, a volte ubriaco, alle 6 del mattino nell’alba di Dotonbori, mentre salaryman ubriachi si trascinano dallo stupore alcolico della notte verso la stazione per prender il primo treno per riposare qualche minuto a casa, e i konbini sono sempre aperti come se il tempo non passasse mai. Sempre in bici all’alba però dello pseudo lockdown per coronavirus, fra strade commerciali un attimo prima straripanti di gente, e ora deserte.

Bisso ha sognato il Giappone per tanti anni, l’ha studiato, a fondo e con sacrificio, e finalmente si è imbarcato in questa avventura che lo porterà chissà dove in futuro, e ha deciso di portarci con sé alla scoperta del suo Giappone, non di quello da cartolina e da migliaia di likes, ma di quello che sta vivendo fino in fondo in questo momento della sua vita, lontanissimo anni luce dal suo nord Italia, ma pur sempre a casa. Nel mondo dell’Ista-repeat, dove chiunque scatta la stessa foto nello stesso luogo con lo stesso filtro, Elvio condivide con noi polaroid di istanti unici che non si ripeteranno mai più.

Lasciamo a lui stesso, e ai suoi video, la parola.

Buona visione!

Ciao, sono Elvio Bissolati e da due anni mi sono trasferito da Cremona a Osaka, Giappone.

Sul piano musicale ho tre progetti musicali: Les Laplaciens, progetto di musica sperimentale; <DI R>RICHTER, progetto micromusic col quale suono punk e metal con i Game Boy; 白いノイズ ( Shiroi Noizu ), un trio con cui proponiamo cover di musica giapponese di ogni genere e riarrangiamo jingle in modo folle.

Gestisco una piccola label chiamata BissoMultimedia, la quale è un po’ il contenitore di ogni mio progetto e ogni tanto ospita anche artisti esterni e collaborazioni. Tramite essa rilascio un po’ di tutto, da album musicali su CD o audiocassetta, fanzine, DVD, raccolte fotografiche, video, eccetera. Il tutto è nato addirittura nel ’99, quando sotto altro nome (BissoEdizioni) mi divertivo a pubblicare materiale cartaceo che solo molti anni dopo ho scoperto essere definibile col termine “fanzine”.

Dal 2001 sono anche un divoratore di musica giapponese di ogni tipo. A inizio gennaio 2019 infatti sono stato invitato presso Ikigai Room di Bologna a tenere una lezione-ascolto riguardante due delle mie scene preferite in assoluto, ovvero punk e metal giapponesi anni ’80 e ’90, introducendo anche marginalmente il movimento visual kei.

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Shiroi Noizu

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