Naoki Ishida, “Lineage”, いき三
Abbiamo già conosciuto Naoki grazie all’articolo intervista uscito qui un po di tempo fa. È con immensa gioia che pubblichiamo per Ikigai un suo lavoro. Innanzitutto perché coincide con la fine di quello che Ikigai è stato finora, e quindi con l’abbandono della sede di via Nosadella. Poi perché questo suo lavoro, “Lineage“, riporta alla mente suoni da passati da tempo, fragilissimi, di difficile memoria, ormai talmente sbiaditi da non appartenerci quasi più.
La musica di Naoki appartiene alle ombre, e non lo dico solo per citare il lavoro di Tanizaki Jun’ichirō del 1933, ma perché si colloca in quell’istante della giornata in cui né luce né oscurità si sono ancora imposti sul creato, e ci è impossibile a volte distinguere fra sonno e veglia, fra sogno e realtà, fra vita e illusione.
Come una finestra aperta, senza cornice ormai, con le tende strappate sospinte silenziose da inquilini ormai senza più fiato: stemmi di famiglie andate da tempo, una macchia di sangue secca sul pavimento di legno, un ultimo sguardo d’addio a quelle camere ora vuote che furono un tempo santuario di vita, echeggiando di risate e giochi di bambini.
Non era tutto perfetto.
Fu tanto tempo fa.
Fotografie senza nomi in un mercatino delle pulci in un tempio. C’è qualcosa scritto a mano nel retro, in quella scrittura che solo i più anziani ormai hanno. Armoniosa e in qualche modo infantile, rotta ed elegante. Ormai sbiadita. Come se le nostre lingue, trasmesse come sangue da mani malferme, si fossero inevitabilmente allontanate.
È passato tanto tempo…
Non sappiamo a chi appartengano quei volti, né possiamo vedere il volto dietro la macchina fotografica. Alcuni luoghi ci sembrano famigliari, e tutto sembra così ingenuo e sincero. Vero, non lo siamo anche noi?
Troveremo un giorno telefoni cellulari riportati a riva dalle onde, ricchi anch’essi di fotografie, dei propri cari, feste di compleanno, cieli tumultuosi, gatti e cani dolci, dei nostri pasti a volte, per poi esser venduti in una scatola da scarpe durante il festiva domenicale di un qualche tempio?
L’ambient impressionista di Naoki riempe spazi senza pareti, parlando una lingua impersonale, immediatamente sfocata, oltre ai suoni, timida, permanentemente altrove.